All’interno dell’Archivio Storico Comunale di Finale Ligure, miniera inesauribile di storia e di storie che vanno ben oltre la dimensione locale, è conservata numerosa documentazione riguardante la costruzione di uno stabilimento industriale nell’ex comune di Finalmarina. Il legame fra il territorio finalese, i suoi abitanti e la sua industria è uno degli elementi caratteristici di questa vicenda, che parte da lontano e arriva con sorprendente attualità fino ai nostri giorni. All’inizio del Novecento gli Amministratori del comune di Finalmarina si erano resi conto della necessità di dare un segnale forte per cercare di uscire dalla depressione economica che soffocava la comunità locale, da qui l’idea di lanciare un bando pubblico per attirare imprese che potessero garantire buoni livelli occupazionali, assicurando in cambio agevolazioni fiscali e contributi, oltre alla cessione di una significativa porzione di territorio. «Considerando che in passato i cittadini di Finalmarina – si legge nella deliberazione del Consiglio Comunale n.1 del 7 gennaio 1906 – erano nella quasi totalità occupati nella navigazione di piccolo cabotaggio e nella pesca, e che per totale cessazione della prima di queste industrie, e per le difficili condizioni nelle quali da parecchi anni si esercita la seconda, sono ora costretti ad emigrare in cerca di lavoro, come è notorio e fu anche accertato in occasione dell’ultimo censimento, col quale invece di un aumento si accertò una diminuzione nel numero degli abitanti di oltre 20 per cento [...]. Il Consiglio mediante votazione segreta, accertata a termini di legge, all'unanimità autorizza il Sindaco e la Giunta a stipulare un contratto coi signori Dagnino, Haupt e Molinari, o con una Società costituenda, per favorire l'impianto, nel territorio di Finalmarina, di uno stabilimento industriale per costruzione e riparazione di veicoli ferroviari». Carteggi, piantine, deliberazioni, transazioni immobiliari, pratiche di esproprio... si sono sedimentati tra le carte d’archivio e attestano la frenetica attività amministrativa che il comune di Finalmarina – retto all'epoca dal sindaco Niccolò Saccone – mise coraggiosamente in atto, non senza difficoltà, per riuscire ad impiantare un’azienda produttiva. Quello che oggi apparirebbe come una lungimirante e moderna politica sociale, una proficua sinergia tra pubblico e privato, a Finalmarina fu faticosamente attuata oltre un secolo fa. I primi anni di vita delle officine non furono facili: scioperi, commesse pubbliche stentate ed una sistemazione logistica non ottimale misero in serio pericolo la sopravvivenza del nuovo insediamento industriale. In questa complessa vicenda c’è un aspetto sul quale è opportuno soffermarsi: lo stabilimento non sarebbe dovuto sorgere nelle attuali aeree, al di là del ponte sul torrente Pora verso ponente, ma nelle aree retrostanti la stazione ferroviaria. Una collocazione che avrebbe agevolato la movimentazione dei materiali attraverso la ferrovia e la produzione dei carri nelle officine finalesi: lo provano i progetti conservati in archivio, in cui sono razionalmente disposti i capannoni ed i reparti. Ma tutto rimase, appunto, sulla carta: le resistenze dei proprietari delle aree, tra cui un’istituzione religiosa, fecero saltare i piani. Molti anni dopo, in pieno boom edilizio, fu evidentemente molto più facile trovare un accordo con le imprese edili. Nel periodo antecedente la prima Prima guerra mondiale gli stabilimenti rischiarono addirittura di chiudere: fu proprio il conflitto a consentire il mutamento genetico dell’industria finalese, riconvertita in un cantiere aeronautico per la produzione di idrovolanti da ricognizione e bombardamento (tra cui FBA e Caproni). Così nel 1917, dallo scioglimento delle travagliate officine meccaniche, nacque la Piaggio & Comp. di Rinaldo Piaggio, già presidente del vecchio consiglio di amministrazione dello stabilimento.
Dopo molti anni, la congenita angustia degli spazi dove sono ubicati i capannoni della Piaggio Aero Industries rappresenta uno dei motivi che sembra rendere necessario il trasferimento degli impianti produttivi da Finale Ligure all’area aeroportuale di Villanova d’Albenga, dove la Piaggio era già stata presente nei decenni passati. Risalendo la Strada Beretta di Finalborgo, che porta ai castelli, può essere utile rivolgere lo sguardo verso il mare: gli stabilimenti Piaggio non appaiono come un presidio industriale eccessivamente invasivo e avulso dal territorio, ma una presenza piuttosto organica, con l’imponente hangar che sembra una grande nave ormeggiata alla costa. Questa elegante struttura, costruita per produrre gli idrovolanti messi in mare da una gru demolita non moltissimi anni fa, è un significativo esempio di archeologia industriale e per questo dovrebbe salvarsi dalla distruzione. L'auspicio è che possa essere trasformato, almeno parzialmente, in un contenitore culturale pubblico, adibito – perchè no?! – a sede della Biblioteca civica e dell'Archivio Storico Comunale. Ma tutto il resto sparirà: della palazzina che ospita attualmente la mensa e gli uffici, costruita a partire dal 1936 come sede del dopolavoro di regime, rimarranno ad esempio solo i bei progetti ancora conservati in archivio. Nuovo cemento rischia di seppellire definitivamente la memoria di quei luoghi per le nuove generazioni: a scomparire non sarà un ricordo nostalgico, sterile, visivamente legato ai vecchi capannoni industriali, ma una vitale memoria sociale fatta di storie di vita, scelte, battaglie sindacali... In breve, si perderanno le tracce di un articolato percorso comunitario lungo più di un secolo. In tale contesto, le pagine di questa appassionata ricerca di Angelo Tortarolo rappresentano un piccolo, ma assolutamente non trascurabile segno di resistenza.
Dalla Prefazione del Prof. Fabio Caffarena, Docente di Storia contemporanea presso l'Università degli Studi di Genova.