Dopo un primo numero, che ha riscontrato il favore e l'interesse di molti, tanto che la rivista è andata quasi del tutto esaurita, presentiamo il numero due, che contiene interessantissimi articoli. Rispetto alla precedente la rivista si è arricchita, è sicuramente migliorata, anche perché si è acquisita l’esperienza e le capacità di un Direttore responsabile professionista.
Si diceva che la rivista si è arricchita, e anche quantitamente, tanto che il nome Quadrifoglio, perché composto da 4 fogli doppi, per un totale di 16 pagine, oggi si dovrebbe modificare in Pentafoglio perché le pagine sono diventate 20. Ma si è ormai legati al nome originale, che tale pertanto rimarrà. Non è però solo una questione di quantità, ma anche di qualità. Tra l’altro in questo numero vi sono due articoli che costituiscono una anteprima di altrettante pubblicazioni che vedranno la luce nei prossimi mesi, e di cui si parlerà brevemente.
L'articolo di 1a pagina
L’articolo redazionale è a firma del Prof. Giovanni Murialdo, il cui nome, già da solo, è una garanzia. Si tratta di un articolo di ampio respiro che affronta ed esamina il problema, complesso, del patrimonio monumentale di Finale in relazione al patrimonio paesaggistico ed urbano. È una sorta di “grido di dolore”, un appello, formulato da un finalese (importante) che ama questa terra, rivolto a tutti noi prima che sia troppo tardi. Vi invito tutti a leggere questo articolo, perché si rifletta su quanto il prof. Murialdo scrive.
Le notizie dalla Biblioteca
Non poteva mancare una pagina sulle novità che riguardano la Biblioteca, di cui noi siamo tutti “Amici”: ci sono i progetti già nati e quelli in procinto di partire. Ci sono le nuove pubblicazioni curate dalla Biblioteca, che vanno ad arricchire un già nutrito catalogo. Vi troviamo un cenno ad una notizia importante per tutti coloro che si occupano di ricerca storica, e cioè del restauro di una serie di registri antichi, che è stato reso possibile grazie ad un finanziamento della Sovrintendenza Archivistica della Liguria e della Fondazione De Mari: una bella notizia in un periodo di magra incredibile per i fondi alla cultura. Vi è poi un paragrafo dedicato al gruppo finalese di appassionati di software, che hanno dato vita ad una associazione per la diffusione del software libero, attività in cui la Biblioteca crede molto e che attivamente supporta.
La seconda parte della biografia di Emanuele Celesia
In questo numero ha termine il lungo articolo di Roberto Bottini sulla biografia di Emanuele Celesia: la prima parte è stata pubblicata sul numero zero della rivista. Questo è uno dei due articoli di “anteprima”: Roberto Bottini, infatti, è in procinto di pubblicare il suo libro su Celesia, che dovrebbe uscire nel primo semestre del 2012. Un libro di grande respiro, a cui Bottini ha dedicato qualche annetto, ricercando ovunque notizie e pubblicazioni di Celesia: ogni volta che credeva di essere arrivato alla fine, di avere detto tutto, scopriva qualcosa di nuovo, il che lo ha costretto più volte a riprendere carta e penna.
La luce e l'acqua arrivano a Finalmarina
Un bell’articolo di Giovanna Fechino, nota ai finalesi anche per aver scritto un Quaderno della Biblioteca proprio sull’argomento dell’acqua. Si è occupata di un argomento, o meglio di un evento, forse poco noto, soprattutto ai non finalesi, ma sicuramente importante dal punto di vista storico. Finale, e in particolare Finalmarina, è stata la prima città di tutta la Riviera ligure ad avere la luce elettrica: era il 1889 quando l’evento fu festeggiato! Artefice di questo miracolo fu l’avv. Emanuele Rossi, a cui è anche intitolata una via della città. Completano l’articolo, alcuni pezzi ripresi da vecchie pubblicazioni dell’epoca nonché una cantata dell’avv. Barusso e una poesia di Anonimo a ricordo dell’evento.
I fratelli Frione, assi del calcio
È un articolo “diverso”, riguarda non fatti storici rilevanti, non monumenti o il territorio, ma due calciatori dei primi anni ’30. Nel 1842 un certo Francesco Frione partì da Finalpia, si imbarcò per l’Uruguay, ove, come tanti altri giovani, era stato attirato dalle gesta di Garibaldi. Combatté al suo fianco, gli riuscì bene, perché divenne suo aiutante di campo e membro dello Stato Maggiore. Francesco Frione, che aveva sposato Francesca Massaferro, dopo la guerra rimase in Uruguay dando inizio ad una delle due generazioni di Frione uruguayane partite da Finale (i Frione partiti per l’Argentina furono invece ben sei). Suo nipote Arturo divenne calciatore ed ebbe due figli Francisco e Ricardo. L’Inter, anzi l’Ambrosiana Inter, nel 1931 li acquistò e li portò in Italia. Ricardo giocò nell’Inter e poi fu ceduto alla Sanremese, terminando la sua carriera nel 1937. Francisco, detto Tito, fu il migliore dei due: ala destra, scattante, dal dribbling inebriante, faceva impazzire avversari e tifosi, che subito l’amarono. Un triste destino lo portò via a soli 22 anni, nel 1935, con una polmonite che non gli diede scampo. Oggi tutti ignorano chi sia stato, ma basti pensare che l’Inter gli dedicò addirittura un libretto in suo ricordo, e Giuseppe Prisco, vice-presidente dell’Inter per quasi 40 anni, ha steso la sua “formazione ideale di tutti i tempi”, e tra questi grandi giocatori, tra cui spiccano i nomi di Meazza, Mazzola, Suarez, Corso, Burgnich, Facchetti, trova posto anche Francisco Tito Frione. Oggi in Uruguay, dove Tito Frione è ancora un idolo, esiste un club che porta il suo nome.
Ci riproviamo con i DOC in Borgo!
È il titolo dell’articolo di Teo De Luigi, regista che oggi vive nel finalese, e che ha portato qui la sua esperienza e una gran voglia di far conoscere a tutti coloro che frequentano Finale alcuni pezzi straordinari, che molto spesso sono frutto del lavoro di registi ai più sconosciuti. È la rassegna “DOC in Borgo”, alla sua seconda edizione, dopo il grande successo della prima. Chi ha avuto modo di assistere alle proiezioni della prima edizione può sicuramente confermare il grande successo di pubblico che questa rassegna ha avuto, e che quindi, siamo convinti, avrà anche quest’anno. Nell’articolo è riprodotto il depliant, che peraltro si può trovare sui banchi di molti esercizi pubblici.
L'Arco di Vezzi
Giuseppe Testa, il Presidente dell’Associazione, ha scritto un bellissimo pezzo che sembra l’inizio di una favola: è la storia di due principesse che per raggiungere i loro promessi sono costrette a compiere un lunghissimo tragitto, da Madrid a Vienna, passando per Finale; anche se l’una fa il tragitto inverso rispetto a quello dell’altra. Le due principesse, peraltro sono madre e figlia. Il racconto si incentra soprattutto sul viaggio compiuto da Maria Anna d’Asburgo che da Vienna si recò a Madrid per sposarsi con il principe di Spagna, per poi scoprire che giunta a destinazione il suo bel principe era morto, per cui convolò a nozze con il padre di questi. Il viaggio fu molto disagevole (a quel tempo, 1646, la strada Beretta non era stata ancora costruita). Maria Anna passò da Vezzi ove fu eretto un Arco commemorativo, di cui oggi non vi è più traccia. Lo scopo dell’articolo è quello di far rivivere quell’episodio, anche perché di quell’Arco per fortuna è rimasta almeno una immagine contenuta in un dipinto ottocentesco. L’articolo è interessante, ben scritto e con alcune curiosità che molti sicuramente ignorano.
La peste a Finale nel 1631
Si tratta di un’altra anteprima, e più precisamente del libro La Peste a Finale 1631-1632, che verrà pubblicato, a cura dell’Associazione in autunno del 2012. Si tratta di un lavoro molto importante, un tomo di quasi 500 pagine, e che è stato un vero impegno. Si sono tradotti e letti un migliaia di documenti. Su questo argomento non ci sono in realtà lavori precedenti, su Finale intendo: hanno scritto qualcosa solo il Gandoglia, ma della peste vista da Noli e il Silla. Entrambi, tuttavia non hanno dedicato all’argomento particolare attenzione, e anche Silla si è evidentemente limitato a leggere qua e là dei documenti, perdendo in tal modo la visione d’insieme. L’articolo che è pubblicato sulla rivista ne è un esempio, e riguarda lo scoppio dell’epidemia. Se leggiamo quanto scrive in proposito Silla pare che il tutto sia avvenuto per la concomitanza del passaggio di soldati fiorentini infetti e della cattura del “Mutto di Bardino”, che infettò il Borgo. Non è esattamente così. Rinviando alla lettura dell’articolo, qui ci si limita ad accennare al fatto che in realtà furono due e ben distinte le epidemie: la prima del gennaio 1631, che colpì Varigotti, e per colpa effettivamente di soldati fiorentini, e un’altra dell’agosto dello stesso anno (passarono tra l’una e l’altra, quindi, 7 mesi), ma non per colpa del Mutto di Bardino (che si è scoperto è esistito davvero e si chiamava Bernardo Cavallo), il quale morì non a causa della peste, ma delle sassate dei suoi compaesani che lo avevano scambiato per un untore. Visitato il suo cadavere da parte dei chirurghi questi dichiararono che in vita egli era sanissimo.